“Diverse tipologie di tecniche di terapia manuale, sia caratterizzate da manovre intense sia effettuate senza dolore si sono dimostrate in grado di migliorare i sintomi di origine muscolo-scheletrica, in particolare in riferimento a sintomatologia dolorosa riferita dal paziente. Per esempio, in pazienti affetti da dolore cervicale, tecniche in accorciamento dei tessuti molli si sono dimostrate in grado di migliorare il dolore del paziente, ma non il ROM. Diversamente, tecniche di maggiore intensità, effettuate ricercando la barriera dei tessuti del paziente, hanno invece mostrato la capacità di portare ad un miglioramento sia del dolore sia del  ROM. In maniera simile, tecniche di terapia manuale articolari di livello più intenso si sono dimostrate in grado di portare benefici clinici maggiormente significativi, in termini sia di dolore che di rigidità, in pazienti con sintomi cervicali, rispetto a tecniche di mobilizzazione di grado più lieve”

(Tratto dall’articolo “il dolore nel trattamento muscolo-scheletrico può essere terapeutico?” di Paolo Bizzarri Fisioterapista, OMT; pubblicato su “il fisioterapista” N° 2, marzo-aprile 2018, edizioni edi-ermes)

Prendo spunto da questo articolo per accennare brevemente al concetto di “lavoro in ascolto”, ricorrente se non onnipresente durante la formazione in Bodywork Fasciale. Specifico che non è mia intenzione contestare i contenuti del suddetto articolo, basati sull’evidenza clinica e su statistiche attendibili, bensì prenderne spunto per approfondire questa tematica esponendo il “mio*” punto di vista sull’argomento.

*in realtà condiviso da migliaia di osteopati ad indirizzo fasciale e terapisti formati alle scuole di ultima generazione ispirate al pensiero di Ida Rolf

A seguire alcuni paragrafi tratti dalla manualistica dei corsi di formazione in Bodywork Fasciale

  1. “Posizionamento in accorciamento”

 “Porre un muscolo in posizione di accorciamento facilita l’ingresso, quindi se questo è molto teso o in spasmo, al punto che le sue inserzioni ossee si sono avvicinate, non cercate di allungarlo distendendo l’arto o l’area corporea, ma posizionateli in modo da aumentare l’accorciamento, riuscirete così ad accedere alle fibre muscolari profonde e ad ammorbidirle. Lasciate poi che l’area si rilasci spontaneamente; solo in seguito, nella stessa seduta o nella seguente, lavorerete in allungamento, eventualmente ponendo l’area in posizione di stretch.”

       2.“Shortening Muscles (facilitare l’accorciamento muscolare)

“Molte tecniche manuali si focalizzano sul come allungare i muscoli accorciati, al fine di promuovere un maggior range di movimento nelle giunture. Però può accadere che il muscolo non sia in grado di accorciarsi completamente. Per esempio, non è insolito per alcuni avere difficoltà nella dorsiflessione della caviglia, anche quando il comparto posteriore della gamba non inibisce il movimento a causa di un’eccessiva tensione. Lo stesso fenomeno può verificarsi nel polso, nel ginocchio, o nell’anca. Nel polso o nella caviglia, il movimento può essere impedito dai tendini che aderiscono al retinacolo. Questo può limitare il movimento in ogni direzione, se il tendine aderisce alla caviglia in una posizione di flessione,  può essere difficile estendere il piede.  L’allungamento o l’accorciamento muscolare dipendono dallo scivolamento delle fibrille muscolari sulle altre in ogni direzione. Queste fibre possono aderire a livello cellulare in qualunque punto lungo un muscolo, impedendo sia l’allungamento che l’accorciamento”.

      3.“Pin and Stretch” (stiramento da un punto fisso)

Visualizzate un nodo in un elastico. Se allungate l’elastico la parte flessibile si allungherà, mentre il nodo rimarrà: le aree tese o fibrose raramente si estendono all’intera lunghezza del muscolo, pertanto normalmente il terapista presterà eguale attenzione al muscolo nella sua totalità. E’  fondamentale non scivolare sopra l’area contattata. Visualizzate che state afferrando l’area tesa e che la state stirando lontano dal punto fisso. Associare il posizionamento in accorciamento a Pin and Stretch  è una strategia che ci permetterà in alcuni casi di potenziare ed accelerare il lavoro.

Paragrafi tratti da “ Manuale di Manipolazione Miofasciale Avanzata “MFR 1,  tecniche base ed avanzate di rilascio miofasciale”

  1. Stipulate un “contratto” verbale con i vostri pazienti

“In sintesi, il lavoro profondo, in quanto potenzialmente (non obbligatoriamente!) doloroso, specie se non viene praticato rispettando i principi discussi nelle pagine precedenti, deve essere gestito da ambedue le parti, specialmente per chi non ha esperienza nel cogliere i segnali non verbali di disagio o sofferenza. Stabilite una modalità condivisibile per evitare che le vostre manualità vengano sopportate con stoicismo da parte di pazienti che, a meno che non siano masochisti, non vedrete mai più; un metodo semplice e collaudato è invitare il paziente a espirare durante gli “strokes*” più profondi e a sentirsi libero di esprimersi con lamenti, sospiri o altro, ma soprattutto di dire “stop” o “basta” in qualunque momento. Lo “stop” non è sindacabile da parte vostra.”

* strokes: manualità, nel gergo tecnico del bodywork

Paragrafo tratto da “ Manuale di Manipolazione Miofasciale Base MMF 1,  considerazioni sul dolore”

  1. Il rilascio fasciale “in ascolto”

E’una tecnica di stretching passivo fine altamente interattiva che richiede il feedback dal corpo del paziente per determinare la forza e la durata dell’allungamento e per facilitare il massimo rilassamento dei tessuti tesi o contratti. Per queste caratteristiche è da considerarsi una tecnica non invasiva, particolarmente adatta a trattare problematiche muscolari e articolari croniche e acute in soggetti particolarmente rigidi e tesi, intimoriti dalle tecniche manipolative articolari (thrust) o miofasciali profonde e con una bassa soglia di sopportazione del dolore, o inadatti ad essere trattati con le metodiche attive (Mitchell e Mézières) a causa dei limiti cognitivi imposti dall’età (bambini, anziani)”

Paragrafo tratto da “Manuale di Induzione Fasciale base, Listening Techniques; introduzione”

  1. Fisica del rilascio fasciale

“ Il rilascio fasciale comporta a tutti gli effetti la deformazione dei tessuti ai quali viene applicato; questo avviene in 3 fasi:
– Deformazione pre-elastica: per poter iniziare la deformazione di un tessuto si deve, in primo luogo, passare dallo stato di riposo allo stato di tensione.
– Deformazione elastica (deformazione reversibile): variazione che si annulla quando cessa l’applicazione della forza (il tessuto ritorna alle sue caratteristiche iniziali).
– Deformazione viscoelastica: i materiali con le proprietà di viscoelasticità (come la fascia, il legamento e l’osso, hanno una curva di deformazione che dipende dal fattore tempo.”

Paragrafo tratto da “Manuale di Induzione Fasciale base”, Listening Techniques; fisica del rilascio fasciale 

      7. Il linguaggio della fascia

 “Il linguaggio della fascia è la tensione. Noi dialoghiamo con il sistema fasciale interrogandolo tramite il tensionamento e il detensionamento (codice binario)”

Paragrafo tratto da “Manuale di Induzione Fasciale base, Listening Techniques; esercitazioni di ascolto sulla tensostruttura fasciale”

Analizzando il testo iniziale punto per punto:

A. “tecniche in accorciamento dei tessuti molli si sono dimostrate in grado di migliorare il dolore del paziente, ma non il ROM”

Questa affermazione è fondamentalmente corretta e incontestabile dal punto di vista della fisiologia muscolare e articolare, infatti la tecnica del “posizionamento in accorciamento” (1) serve ad interrompere il circuito di facilitazione neuromuscolare e a detendere la fascia superficiale in maniera di poter accedere agli strati fasciali profondi e rilasciarli, solo in seguito potremo applicare la tecnica “Pin and Stretch” (3), ottenendo così un tangibile miglioramento del ROM. Nel trattamento dei retinacoli la tecnica “Shortening Muscles” (2) potrà addirittura condurci ad un miglioramento del ROM, pur lavorando esclusivamente in accorciamento.

B. Diversamente, tecniche di maggiore intensità, effettuate ricercando la barriera dei tessuti del paziente, hanno invece mostrato la capacità di portare ad un miglioramento sia del dolore sia del ROM.

Anche il contenuto di questo brano è incontestabilmente corretto e, contenendo i termini “barriera dei tessuti”, “intensità”e “dolore “ mi fornisce lo spunto  per accennare al rilascio fasciale “in ascolto” (5) concetto basilare nella pratica delle tecniche di induzione fasciale: la “ barriera dei tessuti” (fasciale) è il punto, il “qui ed ora” sul quale agiremo con le tecniche dirette e indirette di induzione fondate sull’interazione con il sistema neuro-miofasciale (7) le quali, in assenza di dolore e con la giusta intensità, che è esattamente quella che il sistema del paziente ci consente, ci permetteranno di raggiungere la deformazione viscoelastica tissutale (6) e di “portare ad un miglioramento sia del dolore sia del rom”

C. In maniera simile, tecniche di terapia manuale articolari di livello più intenso si sono dimostrate in grado di portare benefici clinici maggiormente significativi, in termini sia di dolore e di rigidità, in pazienti con sintomi cervicali, rispetto a tecniche di mobilizzazione di grado più lieve.

Concordo pienamente con lo scrivente sul fatto che “tecniche di terapia manuale articolari più intense sono in grado di portare benefici clinici maggiormente significativi rispetto a tecniche di mobilizzazione più lievi”.

In effetti l’obiettivo delle tecniche articolari praticate in ascolto fasciale (telescopiche, stacking articolare e MET fasciali) è il raggiungimento del ROM fisiologico individuale lavorando con la massima intensità consentitaci dal “sistema complesso paziente” (basata sull’”ascolto” e non sulle nostre convinzioni o attitudini terapeutiche).

Ringrazio il mio illustre collega per avermi fornito con il suo interessante articolo gli spunti per esporre le mie riflessioni sull’importantissimo argomento del dolore in terapia manuale, e per concludere riporto l’attenzione del lettore al punto 4 (stipulate un “contratto” verbale con i vostri pazienti) per sottolineare l’importanza della comunicazione verbale, poiché anche se decidessimo di abbandonare l’approccio meccanicista in favore del lavoro “in ascolto” non sempre saremo totalmente centrati su quanto sta accadendo sotto le nostre mani, rischiando di ricadere nella modalità terapeutica basata sulla visione cartesiana del corpo umano e sulla netta separazione dei ruoli (io terapista, tu malato, so io quello che ti serve, se fa male è perché fa bene,ecc…) .

Gianni Core, DO MFT, Responsabile Didattico di CoreSomatica Scuola Italiana di Bodywork Fasciale